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Trovo una mia giustificazione nel regalar emozioni, Suspendo il disgusto
per me stesso negli occhi ammirati di qualcuno, le volte che mi riesce,
o mi stanco nel tentativo di riuscirci, un po' sempre.
E non cerco di fare cattiva prosa raccontandomi/ti, solo di
affratellarti, renderti complice, quasi ad assicurarmi una via di fuga,
come ogni buon ladro deve fare.
E per questo leggo e tento di spingere le mie parole, come un cane
pastore, verso l'altrui stupore.
(come, rubando da una poesia questa volta mia, se io fossi
l'unico uomo che segretamente dona un nome alle sue sigarette fumate,
nomi di donna o di città, oh quanto si assomigliano, per ricordarne
alcuni e dimenticarne molti).
Ti raccontavo della mia stanchezza, e già le mie parole si sbrancolavano
altrove. Perché questo terreno a loro non piace, non ci trovano
sugo nella poca erba, e deviano per altri sentieri.
La mia stanchezza mi fa vergognare.
La mia stanchezza, e' una cappa buia che mi fa credere, o sperare, di
incontrare una sorella, che per motivi diversi dai miei mi faccia
compagnia.
Voglio dirti solo, e questa volta scelgo le parole e le peso, perché
non voglio ci sia poesia, che nella mia solitudine, da cui non riesco
a immaginare di scostarmi, coltivo il piacere e il bisogno di piccoli
incontri, e che hotel Miramare a parte, nulla mi fratificherebbe di
piu', ora, di un seno dal respiro lungo e un po' accaldato, su cui poggiar
il viso, una notte o una mattina, seno di una sconosciuta, regalo di
una sconosciuta, colpita dalle mie parole, e maternamente preoccupata
dei miei ricci scuri sul suo petto.
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